Pantyhose, una collezione di calze molto originale
C’è chi ama le calze e le colleziona e c’è chi come lei è un’amante e un’originale collezionista delle “confezioni” di calze.
Oggi in questo nostro post vi presentiamo Lisa Barsottelli, toscana, romagnola di adozione, laureata in Storia del costume e della moda e grande collezionista di calze e collant e dei suoi packaging (forse la prima esperta di pack delle calze). Una collezione sopra le righe, che per una studiosa di arte e design, come ci fa notare lei stessa, è qualcosa di naturale e ovvio. Ma di ovvietà ne abbiamo poca, perché in questa collezione sui generis c’è una ricerca profonda e meticolosa che segue epoche, mode, stili grafici e artistici.
Si parte dai primi pack illustrati disegnati a mano a quelli più moderni dove colore, grafica e fotografia prendono il sopravvento.
Ma come nasce questa passione per le calze prima e per le loro confezioni poi?
Ci racconta Lisa: “E’ nato tutto per un gioco, quasi in modo casuale. Amo il vintage e frequentando i mercatini e i negozietti, così diffusi in Emilia Romagna, mi sono imbattuta un giorno nella prima confezione di calze, degli anni ‘60 e così ho sentito il dovere di raccoglierle e conservarle ogni qualvolta ne trovavo. La molla che ha fatto nascere questa passione fuori dall’ordinario è stata proprio la grafica del packaging, l’immagine stampata, piuttosto che il contenuto. La domanda che ha dato il via a tutto il lavoro di ricerca sia fisico di campioni che di informazioni è stata: “ma chi le ha disegnate???”.
Se vogliamo trovare una spiegazione a questa fascinazione, possiamo dire che la passione di Lisa per la grafica e il design è la forza generatrice che alimenta questa voglia di trovare sempre qualcosa di “nuovo” e di bello. Continua a raccontarci: “Da qualche modello iniziale, tutto prende la forma di una collezione che ad oggi conta oltre 700 fra buste e scatoline (senza contare i doppioni), tutte ordinate e catalogate in ordine alfabetico o per nome del calzificio. Ognuno ha il suo stile, la sua storia e la sua evoluzione. E se sfogliate le confezioni vi renderete conto di come si trasforma la moda nel tempo e con essa l’immagine della donna nella moda stessa”.
Come cerchi le confezioni da inserire nella tua collezione?
“All’inizio giravo per le fiere vintage ed i mercatini, ancora oggi, amici e venditori mi mettono da parte le calze più’ antiche perché tutti conoscono la mia grande passione, per loro sono quella delle calze (ride!). Poi ho cominciato a studiare e informarmi su grafiche e illustratori. Sui libri non era facile trovare le risposte, per non dire impossibile, ed internet non è mai stato di aiuto, quindi come una giornalista sono andata a chiedere direttamente ai calzifici e alle aziende che producevano e stampavano i packaging”.
Hai trovato le rispose che cercavi? Cosa hai scoperto?
“Interviste telefoniche, email, ho scritto anche una lettera ad un illustratore, a Francesco Maria Guido, in arte Gibba, purtroppo morto recentemente. Fu uno dei primi illustratori che ha firmato un disegno delle calze, Calzificio Modi Modigliana, Forlì. Un lavoro di ricerca che ha dato risposta alle mie domande, che ne ha fatto sorgere altre, che ha scritto una storia mai raccontata con focus sui disegni delle buste delle calze. In questi anni ho conosciuto molte persone, calzettai più’ o meno noti, della regione Emilia Romagna,(Roberto Luciano per Resy, Silvia Russo per Sarci, Marco Marcucci per Santerno, Babini Battista per Modi Modigliana) e del distretto della calzetteria di Castel Goffredo, come BC, Ibici, Mura, Pompea. Ho avuto l’onore di intervistare Emilio Cavallini, il signore delle calze, che come fosse a scuola si è seduto davanti a me e a Sabrina Foschini (Rimini, storica della moda, scrittrice, amica del progetto) e ha detto “cosa vuoi sapere delle buste, questa è una storia buffa……” e via, ore a parlare di collant e buste, uno dei momenti più emozionanti del percorso. E’ stata un’ intervista che è storia della moda: sono stata la prima a chiedere a Cavallini delle buste e delle grafiche, allo stilista più famoso per quanto riguarda i collant, non gli ho chiesto di Mary Quant, gli ho domandato delle grafiche. Era incuriosito”. “Ho scoperto inoltre, che sono pochi i calzifici che hanno tenuto una testimonianza storica di buste e calze vintage, quindi in alcuni casi la mia collezione rappresenta il loro archivio, una memoria storica importante. Erano più le aziende che stampavano o producevano gli impianti per la stessa che negli anni hanno tenuto una sorta di campionario. Come Lino Gardini, fondatore della Italpak Forlì, che mi ha donato quello che rimaneva delle buste vecchie dell’azienda e che mi ha presentato Giovanna Tardozzi, una delle sue disegnatrici”.
Cosa vuoi fare con tutte queste calze?
“La collezione è diventata un progetto, Pantyhose. Vorrei farne una mostra, un libro, musealizzare il tutto. Perché la mia raccolta non solo è una testimonianza storica per il prodotto calza collant, ma è anche un racconto, prima disegnato stampato poi fotografato e grafica, dell’evoluzione dell’immagine della donna. Racconti di grafici d’autore, Rene Gruau per Ortalion, Gino Boccasile per Franceschi, Gianni Venturino che firma le confezioni Rede ed Arwa, molto gli artisti pittori figurinisti hanno donato le loro mani per le calze. Una mostra che potrebbe aprire le porte alla creazione di un MUSEO della calza e del collant in Italia, che ancora manca, e che personaggi come Alessandro Gallesi, presidente di ADICI Associazione distretto calza intimo, promotore e grandissimo amico del progetto, cercano di promuovere da anni”.
Una mostra così è una storia a 360 gradi, una storia mai raccontata. Il valore storico sta alla base di questa collezione ed è la storia stessa che alimenta la passione di Lisa. “Come storica della moda sono folle, ho raccolto la sfida di questa ricerca, sempre continua e che produce sempre nuovi risultati, potresti continuare all’infinito. Sono arrivata a rintracciare i grafici che hanno disegnato molte buste, a trovare i quadri di stampa e i fogli preparatori o le bozze originali dei disegni dei packaging. Si ringrazia Gino Benini, e Giovanna Tardozzi. Dietro a queste “pubblicità” ci sono design, grafici e art director famosissimi come Gianni Venturino, che ha curato i manifesti della Pompea il famosissimo sedere di Roberta, e che ha ideato le prime buste di Arwa e di Rede”.
Le calze della tua collezione sono tutte nuove o le indossi?
“Da vera collezionista non le apro nemmeno, alcune hanno ancora il bollino, a volte per curiosità le ho indossate, ma solo quelle che sono doppie”.
Sei concentrata su un periodo preciso della moda o hai un po’ di tutto?
“Le calze più vecchie sono degli anni 50, il nucleo maggiore sono gli anni ’60-80”.
Che differenza c’è tra ieri e oggi?
“Il pack ha subito un evoluzione di stili, ma ovviamente anche di materiali e forme: si passa dal cartone alle scatola in pelle, latta, busta in cellophane, i cavallotti in cartone, poi ancora buste polietilene e polipropilene, poi agli inserti cartacei, infine le scatoline o per meglio dire gli astucci. Cambia il materiale, il modo di stampare, si evolve la tecnologia”.
Qual è il tuo pezzo più prezioso della collezione?
“Sono i pezzi autografati, come quelli di Giovanna Tardozzi, allieva di Nadiani, pittore forlivese, di cui ho addirittura i bozzetti esecutivi, cercati per anni, i disegni preparatori dei modelli”.
Lisa attraverso una semplice collezione ha scritto una sorta di libro di storia, un libro pieno di disegni, di appunti, nomi. E forse il suo sogno è proprio questo mettere insieme tutto questo materiale parlante, che ci racconta la storia delle calze in Italia, di come si rappresenta la donna e di come evolve il concetto della femminilità. Come lei stessa definisce tutto ciò – è un vero vaso di Pandora – ogni volta che scopro qualcosa di nuovo mi emoziono, è come trovare un tassello mancante e di arrivare all’origine. Mi è anche capitato di raccontare e far vedere modelli e buste ai produttori che non si ricordavano o perché non conoscevano alcune cose del passato e vederli emozionare davanti a dei veri reperti storici, mi fa sorridere ancora oggi.